Da qualche tempo desidero argomentare il ruolo che assumono le “aspettative” in un circuito comunicazionale. In poche parole, nell’ottica del fisiologico cambiamento e della crescita di un individuo, le aspettative sono pressoché distruttive. Qualsiasi sia la natura della relazione, da quella con il proprio capo a quella con il proprio figlio o partner, anticipare una risposta o credere che la stessa si conosca già, non genera nulla.

Spesso succede che in un rapporto già collaudato e/o di vecchia data, si creda di conoscere come la pensi il nostro interlocutore. Anzi, ancor di più, si finisce nel credere che esista un link diretto tra la persona e l’aspettativa che si ha su di lei.

Siamo poco disposti ad ascoltare, e per mancanza di tempo e per il timore – forse – che chi abbiamo di fronte, possa disattendere le nostre aspettative, nel bene e nel male. Ci fa comodo ed è più semplice rimanere in un’area di comfort all’interno di quella relazione.

Soprattutto nelle organizzazioni, questo atteggiamento limita l’opportunità di crescita dell’interlocutore, che rimarrà relegato in un ruolo e in una posizione che a lungo andare potrebbero andargli stretti. Un atteggiamento del genere, a mio avviso, da un lato denota miopia, e dall’altro limita l’espansione orizzontale di una organizzazione, proprio nella misura in cui non sfrutta idee, punti di vista e spirito proattivo dei collaboratori. Non si creano le opportunità di conoscerli. Una organizzazione, oltre a configurarsi con i mezzi strumentali e con il patrimonio di conoscenza tecnica, consta principalmente di circuiti di relazione e comunicazione tra tutte le persone che ne fanno parte, a qualsiasi livello. Sono questi i veicoli più potenti affinché una organizzazione possa espandersi e vivere nel benessere condiviso.

Ascolto attivo e cultura del feedback possono rivelarsi i principali strumenti per permettere, ai nostri interlocutori, di crescere e alimentare un contesto organizzativo e sociale sano.