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Autore: Sergio

Punti di vista

Non è semplice cambiare punto di vista, allo stesso tempo mettersi nei panni degli altri, fosse solo per un istante, ci dà l’opportunità di crescere insieme all’altro e di scoprire nostri lati sconosciuti.
Come fare? Siamo dotati dei cosiddetti ‘Neuroni specchio’ scoperti dallo scienziato italiano Giacomo Rizzolati nel 1992 presso l’Università di Parma.

L’importanza di seminare bene e con costanza nel tempo

Reduce da un’esperienza diretta,

l’importanza di aver sempre

e non è vero che un errore si paga, è vero il contrario se semini bene un errore è un evento isolato. Che capita a tutti. Che fa parte di una crescita di una persona.

Le lezioni che ti insegnano qualcosa

La fiducia che hai generato

La buona fede che ti connota

La gentilezza e il garbo nelle organizzazioni

Nel maggio scorso, il Messaggero pubblicava un’intervista rilasciata da Brunello Cucinelli, un imprenditore che stimo e che reputo molto preparato.

Cucinelli riprendeva e faceva suo uno degli insegnamenti socratici, ragionando sul garbo assunto come virtuosismo per un confronto sano e produttivo: “Se qualcuno tenta di convincermi con garbo, io ascolto, se mi offende, non ascolto”

(http://www.ilmessaggero.it/umbria/brunello_cucinelli_papa_francesco_giovani_successo_garbo_perugia_intervista-2446187.html)

Al leggerle, queste parole mi sono risuonate dentro. Mi hanno dato l’opportunità di riflettere e di formulare alcune riflessioni.

Praticare gentilezza e praticare garbo a mio avviso creano fiducia.

Creano un ambiente in cui si accoglie.

Creano un ambiente dove si possono fecondare idee affinché germoglino progetti nuovi.

Creano un ambiente in cui ci si offre l’opportunità di ‘sbagliare’ nel senso di sperimentare e di ottenere comunque risultati.

Creano un ambiente in cui poter star comodi.

Creano un ambiente in cui la musica diventa la colonna sonora delle relazioni interne.

Due concetti affinché si propaghi all’interno dell’azienda:

Sii il primo ad essere gentile
Sii l’esempio
Come:

Chiedi scusa se serve
Fai un passo indietro se una situazione lo richiede
Utilizza un tono di voce accogliente
Usa chiarezza e trasparenza
Sii aperto all’altro e alle sue idee
Fai “il finto tonto” come faceva Socrate quando poneva le sue domande agli allievi
Impegna il tempo a spiegare un concetto benché ritieni facile da capire
Guarda dritto negli occhi
Chi riceve gentilezza e garbo si sentirà spiazzato, perché è come se gli accarezzaste l’anima.

Done is better than perfect

Nel programma “Officina Futuro” (nove puntate a partire dal 15 luglio per nove settimane su Repubblica.it), l’imprenditore digitale Marco Montemagno racconta di “innovatori e visionari” con domande sul presente e risposte che provano ad esplorare il futuro.

Nella prima puntata parla di Mark Zuckerberg, che sappiano tutti chi sia e cosa ogni giorno fa per crescere la sua azienda – Facebook per l’appunto.
Monty chiude il programma con una delle frasi guida di Mark: “Done is better than perfect”…cioè “Fatto è meglio di perfetto”.
E questo concetto mi piace molto. Un pò come “non esiste provare ma esiste fare”.

Nello sport: il cuore oltre la tecnica

Il 19 luglio scorso, con l’esercizio di duo misto di nuoto sincronizzato “A scream from Lampedusa” , Manila Flamini e Giorgio Minisini hanno vinto il primo oro italiano di questa specialità ai Mondiali di Budapest.
Al di là delle riflessioni sul dramma umano con cui ci stiamo confrontando ogni giorno, ognuno con un ruolo e una posizione, e fatto salvo un mio parere personale, la mia attenzione si pone su un altro aspetto.

Gli italiani hanno vinto perché oltre alla competenza tecnica e all’esecuzione impeccabile dell’esercizio in sé, hanno messo la parte più intima e profonda dell’essere umano, direi unica in ognuno di noi.
Hanno interpretato con ogni gesto con passione, amore ed emozione l’esercizio.

Nello sport non si dà il meglio di sé stessi solo con la tecnica, ma si dà il meglio di se stessi quando si mette il cuore e la passione in quello che si fa.

Guardatelo l’esercizio è da brividi.

Qual è la reale posta in gioco

Anche il golfista ha un fuoco sacro dentro. Qualsiasi attività ludica è mossa da una passione iniziata più o meno per caso. La nostra mental coach Sonja Caramagno, nella puntata odierna di Il golf nella testa, focalizza la sua attenzione proprio su cosa scatta dentro di noi quando pensiamo al golf. Quella motivazione è il patrimonio personale di ogni singolo giocatore. Un patrimonio che gettiamo al vento ogni volta che, dopo un brutto colpo, pensiamo di smettere e non giocare più.

Sonja Caramagno con i Talents del “Marco Simone” di Roma.

Caro golfista, a qualsiasi livello tu giochi e in qualsiasi parte dell’Italia tu pratichi, sai di certo riconoscere quale sia stata la spinta che ti ha permesso di iniziare a prendere un ferro in mano. Quale è stata poi quella che ti ha permesso di affrontare prima qualche buca e quindi le “famigerate” 18 buche. Che tu abbia iniziato per gioco, per curiosità o semplicemente perché ti hanno invitato a provarlo per me non cambia. Io qua mi riferisco a quel fuoco che ti si accende dentro ogni volta che sollevi e curi la sacca, conti i ferri o indossi le tue scarpe nuove. Meglio: penso ancor di più a quando calchi un green o lasci andare un colpo lungo con un bel driver!

Quel fuoco è un tuo patrimonio intimo e personale, un patrimonio da curare, da alimentare e da salvaguardare, soprattutto. E’ la passione verso il golf, il tuo gioco.

Golf nella testa e quelle frasi che ti ronzano dentro
Spesso, caro golfista, sento che ti allontani da quel patrimonio. Lo fai quando pensi o dici: “E’ arrivato il momento di mollare! Non mi diverto più”. Ti ho sentito interrogarti: “Gioco ma non mi riconosco!”. E a seguire: “Oggi il mio swing non ha un senso!”, “Non sento più nulla”.

Ci hai mai pensato a cosa rinunci in quei momenti? Quale sia lo scotto che paghi ogni volta che fai questi pensieri? In ognuno di quei momenti tradisci la tua passione, abbandoni le leve interiori che ti han portato a scegliere il golf come il tuo sport Rinunci di fatto a tutto ciò che alimenta il tuo benessere interiore.

Quei momenti arrivano quando il focus della tua attenzione non è più verso il tuo gioco, verso il tuo movimento, verso ciò che il tuo corpo sa e prova piacere a fare. La tua attenzione in quei momenti è disgregata verso tutto ciò che gravita all’esterno da te. Verso l’aspettativa di fare un buon colpo, verso l’idea di poter eseguire il perfetto movimento dello swing, quando giochi per non tradire gli altri o non fare brutte figure. E’ li che tradisci te stesso.

Riprendi pertanto a concentrarti sul tuo respiro, un respiro diaframmatico e profondo, riporta la tua attenzione a tutto ciò che il tuo corpo sa e si diverte a fare, e lascialo libero di esprimersi. Pensa a fare solo il tuo. Riprova, riparti, gioca. Immagina di tornare bambino, quando giocavi e riuscivi a concentrarti verso un oggetto, un giocattolo presumibilmente, e ti divertivi a sperimentare rompere e aggiustare. Se ci rifletti, le uniche poste in gioco anche nel golf, messe a rischio sono proprio il tuo benessere e la tua soddisfazione interiore.

Golf nella testa… di Renato Paratore
Caro golfista, ti lascio citando una frase di Renato Paratore che ho preso da una domanda in questa intervista rilasciata a FederGolf e riportata su questo sito, in occasione del Rocco Forte Open giocato al Verdura Resort a Sciacca.

A questa precisa domanda “Dopo 54 buche in Sicilia eri terzo, anche se un po’ lontano dal leader. Pensieri fino a quando sei salito sul tee?”, il giovane azzurro risponde in modo naturale. “Nessuno in particolare. Ero tranquillo perché stavo giocando molto bene – dice -. Inoltre in una giornata ventosa occorre essere concentrati ancor di più del solito e liberare la mente da tutto. Non ho pensato agli altri, ma solo di andare in campo e dare il meglio”.

Ridisegna la tua buca

Oggi spieghiamo come trasformare in vantaggio quello che tutti comunemente considerano uno svantaggio. Ossia il preconcetto: chiunque giochi a golf ha una buca che vorrebbe saltare in ogni percorso. Perché? Semplice: in quella buca la palla è sempre andata in acqua oppure fuori limite oppure… Invece il pregresso può diventare un elemento a nostro favore.

A curare la rubrica “Il golf nella testa” è Sonja Caramagno. Si tratta di una mental coach di professione. Lei scrive, analizza e cura una serie di lezioni e approfondimenti dedicati al rapporto fra testa e swing.

Come ogni buon giocatore di golf che si rispetti, avrai già girato l’Italia in lungo e in largo per i campi più belli e interessanti, cimentandoti in chissà quante gare.

Ti sarà capitato almeno una dozzina di volte di confrontarti con un campo a te già noto. Proprio quello che non è stato così clemente, dove hai collezionato uno score che non ti ha reso giustizia.

Sforzati, concentrati e ricordati ancora meglio.

Quel campo esattamente ha la buca 9 che ti ha regalato un boogie doppio o anche triplo. Oppure c’è la buca 11 in cui il driver non è partito come avrebbe dovuto, finendo in acqua o tra le frasche.

PAROLA DI MENTAL COACH: RIPERCORRERE QUELLA BUCA “MALEDETTA”
Il dato interessante è che nella tua prossima gara dovrai ripercorrere quello stesso campo e soprattutto quella la stessa buca, con tutto ciò che si porta dietro. “Adesso la palla mi vola esattamente a destra come ha fatto quella volta” pensi. Oppure: “In questa buca faccio sempre lo stesso errore”. Oppure ancora: “E’ il bunker in cui ci finisco sempre dentro e non ne so uscire”. La cosiddetta “profezia che si auto-avvera”. E il fatto che si ripeta poi tende solo a confermare esattamente la tua convinzione. E vissero tutti felici e contenti… E no! Tu golfista sei fatto di un’altra pasta, perché in fondo vuoi vincere e sfidarti ogni volta, buca dopo buca.

Il GOLF E IL BUNKER MENTALE
Una via di uscita da questo “bunker” mentale – e riprendo la metafora da uno dei miei primi articoli qui pubblicati – è di dare nuove informazioni alla mente affinché si liberi di ciò che ha fatto in precedenza. Il mio suggerimento è di iniziare a farlo partendo da nuovi presupposti: oggi è un giorno diverso da quello in cui hai giocato (magari è martedì e non domenica); le condizioni climatiche sono migliori o peggiori; il tuo compagno di gioco è diverso. Non esiste mai nulla di esattamente uguale ad un momento già vissuto. Questa che stai vivendo è una nuova storia, una nuova gara, tu sei un giocatore diverso nel fisico, nella tecnica e nei pensieri.

Ogni gara ha di per sé un sapore diverso e speciale, in cui costruire una storia ed un dialogo diverso con ogni buca del campo. Il segreto è arricchire ogni volta una buca di un significato nuovo, in cui provare nuove emozioni, sentire nuove percezioni e valorizzare il bagaglio delle tue esperienze.

Le aspettative nella comunicazione

Da qualche tempo desidero argomentare il ruolo che assumono le “aspettative” in un circuito comunicazionale. In poche parole, nell’ottica del fisiologico cambiamento e della crescita di un individuo, le aspettative sono pressoché distruttive. Qualsiasi sia la natura della relazione, da quella con il proprio capo a quella con il proprio figlio o partner, anticipare una risposta o credere che la stessa si conosca già, non genera nulla.

Spesso succede che in un rapporto già collaudato e/o di vecchia data, si creda di conoscere come la pensi il nostro interlocutore. Anzi, ancor di più, si finisce nel credere che esista un link diretto tra la persona e l’aspettativa che si ha su di lei.

Siamo poco disposti ad ascoltare, e per mancanza di tempo e per il timore – forse – che chi abbiamo di fronte, possa disattendere le nostre aspettative, nel bene e nel male. Ci fa comodo ed è più semplice rimanere in un’area di comfort all’interno di quella relazione.

Soprattutto nelle organizzazioni, questo atteggiamento limita l’opportunità di crescita dell’interlocutore, che rimarrà relegato in un ruolo e in una posizione che a lungo andare potrebbero andargli stretti. Un atteggiamento del genere, a mio avviso, da un lato denota miopia, e dall’altro limita l’espansione orizzontale di una organizzazione, proprio nella misura in cui non sfrutta idee, punti di vista e spirito proattivo dei collaboratori. Non si creano le opportunità di conoscerli. Una organizzazione, oltre a configurarsi con i mezzi strumentali e con il patrimonio di conoscenza tecnica, consta principalmente di circuiti di relazione e comunicazione tra tutte le persone che ne fanno parte, a qualsiasi livello. Sono questi i veicoli più potenti affinché una organizzazione possa espandersi e vivere nel benessere condiviso.

Ascolto attivo e cultura del feedback possono rivelarsi i principali strumenti per permettere, ai nostri interlocutori, di crescere e alimentare un contesto organizzativo e sociale sano.

Un Coach non è un indovino

Ogni volta che presento ad amici o conoscenti la figura del coach e dico cosa è l’ICF (International Coach Federation),le domande che mi vengono poste sono tante, e per carità, anche a ragione, aggiungo. Ve ne riporto solo alcune: Quindi se ti racconto un problema che ho con il mio capo, tu puoi risolverlo? Allora mi puoi dire cosa posso fare in questa situazione? Tu che sei coach, ascolta questa cosa e dammi una mano! In due parole, al volo, dimmi come fai a risolvere i problemi.

Nella realtà dei fatti un coach non è un indovino, non ha la sfera di cristallo, non si sostituisce a nessuno, non interpreta nulla. Nel mio caso, vorrei tanto predire il futuro ma, ahimè, leggo solo il presente!

Ieri ho ricevuto un coachee – ossia il cliente del coach – che dopo essersi pesato mi ha intimato: “Fammi raggiungere il mio peso forma!”. E io: “Be’, Parliamone”. Saranno le mie domande infatti a guidare il coachee, saranno loro a fargli trovare la ricetta giusta per raggiungere il suo peso forma. A ciascuno la sua dieta.

Pertanto, cari amici, una volta e per tutte, il coach è una figura professionale di affiancamento in un percorso di crescita e maturazione dell’altro verso un obiettivo che sia specifico, realistico e misurabile. Aiutare il coachee nella messa a fuoco di questo obiettivo è già un buon punto di partenza che permette di definire il coaching come sorta di acceleratore di cui dotarsi per rendere ancora più veloce la realizzazione di determinati traguardi. Tutto il lavoro successivo prenderà le mosse da domande specifiche e pensate ad hoc per stimolare il coachee a guardare sempre oltre l’ostacolo, a spiccare finalmente il volo con le proprie risorse, e senza bisogno di nessun incantesimo!

Il coaching non ripara, ma crea. La case history di un manager

Il Coaching in azienda coinvolge tre soggetti, l’azienda che si configura come il committente, il coach che si configura come il commissionario, e il dipendente che entra nella dinamica in qualità di coachee e diretto fruitore del servizio di coaching. In ambito aziendale pertanto, che si tratti di corporate executive o business coaching, il coachee spesso si trova in una situazione in cui non ha scelto direttamente il percorso di coaching ma lo ha solo subito. Di norma questa dinamica è accolta di buon grado dal lavoratore, ma ho assistito anche a casi in cui quest’ultimo, di primo acchito, non ne ha percepito il valore, anzi.

Riporto un caso che, tra gli altri, mi ha ispirato questa riflessione. Al nostro primo incontro, il manager di una multinazionale a cui era stato proposto di seguire un percorso di “executive coaching” per un totale 4 incontri, esordisce esternando la propria condizione come totalmente scevra da problemi.

Da lì a due anni avrebbe concluso la carriera professionale e non sentiva la necessità di porre attenzione su nulla, perché tutto funzionava bene a suo dire. Accolgo quindi le sue considerazioni, e facendo leva sul legame con la sua azienda sancito da un contratto di prestazione d’opera, svolgo il lavoro fino in fondo.

Gli propongo pertanto di guardare “il pacchetto di incontri” da un’altra prospettiva, ovvero non in termini di risoluzione di problemi ma in termini di immaginazione di nuovi e diversi modi per svolgere le stesse funzioni del suo lavoro.

Chiaramente la proposta di per sé può suscitare qualche perplessità: perché cambiare quando non se ne sente la necessità?

Non è stato il caso di questo signore ultrasessantenne che liberamente si è messo a pensare e poi a valutare su come fosse cambiato il modo di comunicare tra lui, i suoi clienti e i suoi colleghi.

Ne è venuto fuori un bellissimo percorso di riflessioni, considerazioni, prese di coscienza e cambiamenti in un’ottica di miglioramento dei rapporti interpersonali e professionali e di sviluppo di nuovi.

Immaginate che una mattina prendiate una strada diversa per andare a lavoro, non perché sia necessario, ma semplicemente per sperimentare qualcosa di nuovo. Sarà un’occasione per vedere paesaggi nuovi, per esplorare nuovi ambienti e magari conoscere nuovi stati emotivi. Funziona così anche per il nostro cervello in cui si attivano nuove connessioni cerebrali, attraverso nuovi modi di pensare e nuove esperienze.

Il coaching non ripara ma crea.

Da ogni gara esci diverso da come sei entrato: hai l’oro nelle tue mani

Diciotto buche sono tante e lo sai bene. Se non fosse per la forte e smisurata passione per il gioco e il grado così elevato di soddisfazione personale che ti pervade, sfidare te stesso ogni santa volta sul campo di gara sarebbe un onere assai gravoso.

Sonja Caramagno in azione con un allievo

E’ alla fine della gara poi, che raccogli tutti i cocci, come si dice a Roma. Conclusa la diciottesima buca, ti accompagna la consapevolezza che quelli saranno stati gli ultimi colpi della giornata. E, in particolare, l’ultimo colpo in assoluto ha il sapore del distacco da qualcosa o – capita a volte – di sana liberazione. Ecco è li, proprio in quel momento su cui voglio focalizzare l’attenzione: in quel preciso istante in cui raccogli la pallina dalla buca dell’ultimo green tu hai l’oro in mano.

E’ li che sento ogni giocatore sintetizzare tutta la gara con un “è andata bene”, “le prime nove sotto il par, le seconde nove un disastro!”, “dove avevo la testa oggi?”, “le ho imbucate tutte!”. E poi, che succede? Ti sei mai chiesto su cosa focalizzare la tua attenzione per raccogliere il massimo dall’esperienza appena vissuta? Sì perché la gara di golf è un’esperienza nel vero senso della parola. E ogni esperienza crea nuove consapevolezze, ma solo se portate alla luce e osservate.

Ti chiedo pertanto: “Cosa hai sentito durante la gara, cosa hai provato? Quali sensazioni? Quali sentimenti?” Raccogli tutto ciò che hai sentito e osservalo dall’esterno, senza giudizio ma solo con una lente di ingrandimento. Alla fine fai una bella fotografia. “Così ti piace? Cambieresti qualcosa? Cosa in particolare?” Ora, riparti da quella fotografia alla tua prossima gara, e se vuoi cambiarne un pezzettino rimodella nella tua testa l’oggetto su cui intendi lavorare. “E’ il respiro? È la convinzione? È il coraggio?” Qualsiasi cosa sia, vedrai che con pazienza, osservazione e applicazione certosina, in breve tempo, potrai tenere in mano una fotografia nuova.

E poi alla fine ringrazia sempre il gioco del golf, l’Università della vita secondo il maestro dei coach Tim Gallwey. Il golf infatti lo è a tutto tondo. “Da ogni gara ne uscirai sempre cambiato rispetto a come ne sei entrato. Oro nelle tue mani”

Sport Coaching. Intervista a Sonja Caramagno

In occasione della seconda edizione del Corso in Sport Coaching organizzato da Life Coach Italy, intervistiamo Sonja Caramagno, sport coach e docente.

Life Coach Italy ospita dal 28 al 30 ottobre 2016 il corso “Sport Coaching: allenati ad allenare, condotto da Sonja Caramagno, Life, Business, Sport Coach e Trainer e da Monica Paliaga, Psicologa, Life, Business, Sport Coach e Trainer. Abbiamo rivolto alcune domande alla dottoressa Caramagno per conoscere meglio questa iniziativa.

Prima di tutto, di cosa tratta il corso?

Sonja Caramagno: il corso in partenza il prossimo venerdì 28 ottobre, si svilupperà in un arco temporale di due giornate e mezzo e in cui ci focalizzeremo sugli strumenti che il coaching ha sviluppato per il miglioramento della performance sia nello sport ma anche in azienda.

A chi è rivolto?

Sonja Caramagno: E’ rivolto sia a coach professionisti che vogliono approfondire strumenti in ambito sportivo, così come i maestri, i tecnici e i preparatori atletici, ma soprattutto responsabili HR e manager aziendali che vogliono utilizzare gli strumenti del coaching sportivo in azienda.

Cosa avverrà durante il corso?

Sonja Caramagno: Il corso consisterà sia in una parte teorica, che svilupperemo in aula, che in una parte pratica che invece svilupperemo in campo (tennis e golf principalmente). Quindi per rispondere alla tua domanda, durante il corso potremo sperimentare da vicino gli strumenti del coaching direttamente in campo.

Qual è il vantaggio di frequentare un corso come questo?

Sonja Caramagno: Il vantaggio che si può ottenere frequentando il corso consta nell’acquisire strumenti più avanzati di coaching, in termini di maggiore efficacia con il coachee che sia atleta o collaboratore o collega. Le fonti saranno l’Inner Game di Timothy Gallwey e sicuramente le linee guida di ICF (International Coach Federation). Sarà un corso molto pratico e esperienziale, pertanto tutto ciò che studieremo sarà applicato sul campo. Inoltre, la circostanza per cui lo sport si agisce attraverso il coinvolgimento del corpo, darà la possibilità di sperimentare tutto anche attraverso l’uso del corpo e di verificare la continua connessione mente-corpo-spirito, alla base del benessere di ogni persona.

Come sarà utile a chi lavora in azienda?

Sonja Caramagno: Tutti gli strumenti e le tecniche che studieremo sono replicabili per l’azienda, in termini di valorizzazione e crescita dell’individuo. Gli strumenti del coaching nello sport in azienda infatti, danno l’opportunità di valorizzare ogni persona mirando allo stesso impegno, alla stessa concentrazione e focalizzazione come fosse un un’atleta, immaginando quindi l’azienda come un campo in cui competere e gareggiare.

Info e prenotazione

http://www.lifecoachitaly.it/corsi/sport-coaching/